L’UNITA’ OPERATIVA SEMPLICE “PSICOLOGIA CLINICA”

Premessa
Nel 2009 all’interno del Dipartimento di Salute Mentale, UO di Psichiatria, è stata istituita l’UO Struttura Semplice “Psicologia Clinica”. Il servizio di Psicologia Clinica si occupa primariamente della valutazionepsicodiagnostica e della presa in carico ambulatoriale di persone che presentano un disagio psichico significativo, che richieda l’intervento di un’equipe multidisciplinare composta, di base, dal medico psichiatra e dallo psicologo/psicoterapeuta.

Chi siamo e dove siamo…
All’interno del servizio di Psicologia Clinica lavorano 4 psicologhe, di cui 3 con specializzazione in psicoterapia, affiancate talvolta da alcuni tirocinanti psicologi e psicoterapeuti.

L’organigramma risulta quindi così costituito:
Dr Vincenzo Zindato: Medico Psichiatra- Direttore del Dipartimento di Salute Mentale (DSM) – Responsabile UO Struttura Complessa di Psichiatria (UOP)
Dr.ssa Giacinta Pini: Responsabile UO Struttura Semplice “Psicologia clinica” – Psicologo-Psicoterapeuta
Dr.ssa Elena Massari: Psicologo-Psicoterapeuta
Dr.ssa Chiara Moreschi: Psicologo-Psicoterapeuta
Dr.ssa Monica Sterli: Psicologo

Il servizio ha la propria sede principale presso il CPS di Malegno, sempre in via Lanico 1, ma gli operatori sono presenti, in alcuni giorni della settimana, anche negli ambulatori periferici, presso la sede distrettuale di Darfo BT e l’Ospedale di Edolo. Il CPS è il servizio territoriale dell’UO di Psichiatria che si occupa della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali degli adulti.

Come si accede al servizio “Psicologia clinica” e che tipo di interventi è possibile ricevere….
Poiché l’UO “Psicologia Clinica” è parte integrante dell’UO di Psichiatria, la persona che voglia accedere al servizio deve richiedere una prima visita psichiatrica presso il CPS di Malegno, telefonando al n. 0364 369.670 dal lunedì al venerdì, dalle 8.00 alle 16.45. Le prenotazioni delle visite presso il CPS avvengono in modo diretto, senza necessità di fare ricorso al Centro Unico di Prenotazione e senza obbligo dell’impegnativa del medico di Medicina generale/di famiglia. I tempi d’attesa per la prima visita psichiatrica si attestano tendenzialmente attorno ai 15 giorni. Non è possibile invece richiedere direttamente una consulenza psicologica. L’accesso al Servizio di Psicologia avviene infatti previa valutazione del medico psichiatra ed è riservato alle situazioni di rilievo, che richiedano una presa in carico multidisciplinare.

Il servizio di Psicologia Clinica eroga le seguenti prestazioni:
• Colloqui psicologici di valutazione anche con impiego di tecniche psicodiagnostiche (test di personalità, cognitivi, funzionali e neuropsicologici);
• Colloqui di sostegno psicologico;
• Interventi di psicoterapia individuale;
• Interventi di psicoeducazione e di sostegno rivolti ai familiari dei pazienti seguiti dall’UOP, dove necessario;
• Interventi di psicoterapia di gruppo;
• Attività di gruppo rivolta ai pazienti ricoverati in ospedale presso il SPDC (Servizio psichiatrico di Diagnosi e Cura);
• Consulenze psicologiche su richiesta dei servizi dell’area sanitaria, sociale, educativa e giudiziaria;
• Attività di valutazione, sostegno psicologico e psicoterapia nell’ambito di progetti innovativi in salute mentale (“Centro cura Bulimia” e “Progetto Diogene: prevenzione degli esordi psicotici”).

Il trattamento psicologico si struttura su base ambulatoriale con una prima osservazione, cui segue una valutazione diagnostica standardizzata. La presa in carico psicoterapica può essere individuale o di gruppo e prevede una rivalutazione periodica standardizzata dell’andamento del trattamento. Va precisato che non possono essere seguiti dal Servizio di Psicologia pazienti che siano in trattamento farmacologico presso Medici Psichiatri privati. Dopo 15 gg dalla richiesta di intervento psicologico eseguita dal medico psichiatra in accordo con il paziente, questi viene invitato, dalla Responsabile del Servizio di Psicologia, per un colloquio preliminare di accettazione, finalizzato alla raccolta di informazioni cliniche circa il problema presentato, il suo esordio ed il suo sviluppo. Nelle 2 settimane successive, l’utente viene sottoposto a valutazione psicodiagnostica standardizzata mediante l’impiego di test e questionari autosomministrati. La somministrazione dei test può avvenire individualmente o in piccoli gruppi ed è finalizzata ad un miglior inquadramento personologico del soggetto, delle sue risorse e difficoltà. A questo punto l’équipe psicologica, sulla base delle informazioni raccolte nel colloquio preliminare e dei risultati della valutazione psicodiagnostica, decide il tipo di percorso più opportuno da proporre all’utente: si può trattare di una presa in carico, oppure di una dimissione dal servizio di psicologia (laddove il problema presentato dall’utente richieda un tipo di intervento non erogabile dal servizio o non di competenza dello stesso).

Nel caso di una presa in carico, dopo un colloquio di raccordo con il medico psichiatra, viene formulato un piano individualizzato e la persona può essere indirizzata verso:
• un intervento di sostegno psicologico breve;
• una psicoterapia individuale;
• una psicoterapia di gruppo;
• un intervento psicoeducativo sul disturbo di cui soffre.

Tutti questi interventi possono essere affiancati da colloqui con i familiari, laddove ve ne sia la necessità e la persona lo richieda. La presa in carico psicoterapeutica ed il sostegno psicologico, vengono garantiti dallo stesso psicologo, compatibilmente con le esigenze del Servizio. La data di inizio del trattamento è stabilita in base alla lista di attesa del singolo psicologo (in generale entro due mesi dal colloquio di accettazione). L’UO di Psicologia assicura la massima professionalità e disponibilità degli operatori a guidare i pazienti nel percorso più consono ai bisogni espressi e alle risorse esistenti. L’efficacia dei trattamenti viene controllata con la valutazione della modificazione dei sintomi e della qualità di vita del paziente prima e dopo l’intervento psicoterapico. Tutti gli interventi proposti si basano su evidenze scientifiche di efficacia (interventi evidence based) e l’appropriatezza dei trattamenti psicoterapici è garantita dalla costante revisione dei protocolli terapeutici, sulla base della ricerca nel campo delle scienze psicologiche. Al termine del trattamento psicoterapeutico può essere proposto un appuntamento di controllo (follow-up) per verificare lo stato di salute psicologica, a distanza di 3/6 mesi dalla conclusione del percorso stesso.

Dr.sse Giacinta Pini, Chiara Moreschi, Elena Massari

CONTATTI: scrivendo all’indirizzo CPS presso ASL di Vallecamonica-Sebino, via Lanico – 25053 Malegno (Bs); e-mail: g.pini@ospedalevallecamonica.it, oppure scrivendo all’indirizzo bulimia@ospedalevallecamonica.it
Quest’ultimo indirizzo e-mail non è rivolto specificatamente a chi volesse contattarci per il disturbo del comportamento alimentare, ma è l’indirizzo di posta diretto per contattare il Servizio di Psicologia Clinica.

Lo staff del Servizio

Articolo tratto dal periodico SANITA’ CAMUNA dell’A.S.L. di Vallecamonica n. 04/2012. Pagine 9,10,11 – autore Dr.sse Giacinta Pini, Chiara Moreschi, Elena Massari

Questo il sito al quale poter consultare tutti i numeri del periodico: www.aslvallecamonicasebino.it

PROGETTO “SOCIAL SKILLS TRAINING”: L’ADDESTRAMENTO ALLE ABILITÀ SOCIALI PER PAZIENTI CON PATOLOGIA PSICHIATRICA GRAVE

Il modello di addestramento alle abilità sociali (“Social Skills Training”) è raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come uno degli elementi cardine nei progetti per la salute e il benessere. Tale modello si basa su un approccio bio-psico-sociale alla malattia mentale, centrato sulla ‘promozione’ della salute intesa come sviluppo delle potenzialità umane. Uno dei principi fondamentali alla base dei Social Skills Training è quello dell’apprendimento. La ricerca indica infatti che tutti i comportamenti sociali possono essere appresi – e quindi modificati – grazie all’esperienza e all’allenamento.

Il contatto quotidiano con pazienti affetti da malattie psichiatriche gravi (schizofrenia, psicosi o disturbi di personalità) solleva molteplici osservazioni e domande sul loro modo di costruire e gestire le relazioni interpersonali, sia all’interno della comunità residenziale o diurna in cui possono essere inseriti, con gli altri pazienti e con gli operatori, che nei contesti sociali più allargati (famiglia, territorio, servizi ecc.).

“Anche quando una sintomatologia florida è controllata farmacologicamente, la maggior parte degli individui psicotici sembra leggermente diversa o ‘fuori dall’ordinario’. Può essere difficile seguire il corso dei loro pensieri in una conversazione. è probabile che dicano cose vagamente strane o fuori contesto. Il loro viso e la loro voce possono essere stranamente inespressivi; possono evitare di guardarvi durante la conversazione… I fattori critici che determinano questo disagio possono essere riassunti nella definizione di deficit di abilità sociali.(1)

Queste abilità sono definibili come comportamenti interpersonali regolati e/o sanciti socialmente che implicano la capacità di percepire e analizzare la situazione in cui ci si trova così da mettere in atto comportamenti adeguati e congrui (ad esempio codici di abbigliamento, regole su cosa dire o non dire, distanza interpersonale, ecc.). Le abilità sono contesto-dipendenti: non esistono cioè regole

di comportamento universalmente valide, ma norme sociali determinate sia da fattori culturali che situazionali. Pertanto, un individuo è socialmente abile se sa quando, dove e in quali forme i diversi comportamenti sono accettabili. Va considerato inoltre che possedere una buona competenza sociale (ovvero saper cogliere i diversi aspetti della situazione e comportarsi in modo adeguato ad essa) significa spesso ottenere rinforzi e gratificazioni a diversi livelli. “Matrimonio, amicizia, gratificazione sessuale, lavoro …sono fonti potenti di rinforzo imperniate sulle abilità sociali. L’individuo privo di abilità ha molte probabilità di fallire nella maggior parte o in tutte queste sfere e, di conseguenza, sperimentare ansia, frustrazione e isolamento, tutti aspetti che presentano una particolare problematicità per i pazienti affetti da schizofrenia. Pertanto, i deficit nelle abilità sociali possono aumentare il rischio di ricaduta, mentre una competenza sociale accresciuta può diminuire tale rischio.(2)

Le possibili cause di disabilità sociale nei soggetti che soffrono di patologie psichiatriche sono molte. Alcuni si scompensano prima di aver potuto sviluppare appieno delle abilità sociali. Altri sono cresciuti in ambienti privi di modelli validi, altri ancora hanno acquisito buone abilità per poi perderle con la malattia e il conseguente ritiro sociale. Uno degli interventi psicoeducativi più accreditati dalla letteratura per lo sviluppo ed il potenziamento delle abilità sociali in pazienti psichiatrici gravi è un percorso di Social Skills Training (Addestramento alle abilità sociali) che si riferisce in particolare al modello di Bellack e Mueser (2003). Si tratta di un intervento riabilitativo finalizzato ad incrementare le strategie più funzionali dei pazienti e a correggere gli atteggiamenti che ostacolano il recupero o l’apprendimento della abilità. Il presupposto di base è che la competenza sociale si basa su una serie di apprendimenti comportamentali e, pertanto, può essere acquisita o modificata con l’esperienza o l’addestramento.

IL METODO SOCIAL SKILLS TRAINING (SST)

Attraverso un insieme di tecniche psicoeducazionali gli individui vengono aiutati in maniera sistematica a sviluppare abilità più efficaci per interagire con gli altri. Queste tecniche sono basate su una serie di principi dell’apprendimento sociale come il modeling (apprendimento per osservazione), il rinforzo (lodare verbalmente i passi dell’abilità sociale eseguiti correttamente), lo shaping (rinforzare le successive approssimazioni al comportamento finale desiderato), l’automatizzazione (praticare l’abilità in maniera sistematica fino a che diventa automatica) e la generalizzazione (trasferire l’abilità appresa nel gruppo di addestramento ad altri contesti di realtà quotidiana tramite l’assegnazione di compiti a casa). Il Social skills training è pensato come un percorso in piccolo gruppo orientato ad insegnare ai partecipanti diverse abilità sociali.

Si tratta sia di abilità “di base” che abilità specifiche: le prime, utili a tutti i pazienti a prescindere dai loro scopi personali, sono:

esprimere emozioni positive;

fare richieste in modo costruttivo;

ascoltare gli altri;

esprimere emozioni spiacevoli.

Le seconde possono essere suddivise in sette ampie aree e vengono scelte in base agli specifici bisogni dei pazienti:

abilità di conversazione;

abilità di gestione dei conflitti;

abilità di assertività (capacità di esprimere i propri bisogni e diritti rispettando quelli altrui);

abilità di gestione della vita quotidiana nel territorio;

abilità di amicizia e corteggiamento;

abilità di gestione dei farmaci e abilità lavorative e di qualificazione professionale.

La metodologia d’insegnamento delle abilità è una metodologia attiva e formativa, basata su 6 fasi:

1. stabilire il razionale (ovvero il significato) dell’apprendimento dell’abilità;

2. discutere insieme al gruppo i passi che compongono l’abilità;

3. mostrare l’abilità all’interno di un gioco di ruolo (una sorta di “messa in scena”) effettuato dai due conduttori del gruppo;

4. discutere il gioco di ruolo con i partecipanti;

5. coinvolgere nel gioco di ruolo i membri del gruppo uno alla volta, offrendo loro dei rimandi prima positivi e poi correttivi;

6. assegnare dei compiti da eseguire al di fuori dal gruppo per allenarsi nell’utilizzo dell’abilità in contesti esterni (casa, famiglia, amici, ecc.).

 

Va sottolineato che il training di abilità sociali è un percorso di insegnamento, non una psicoterapia di gruppo. I partecipanti non si siedono in cerchio a parlare dei loro problemi. Al contrario il tempo viene impiegato per provare a trovare delle strategie pratiche per risolvere i loro problemi. Per far questo, durante gli incontri, i pazienti si esercitano a mettere in pratica diverse abilità e poi provano ad utilizzarle in situazioni di vita reale. Allo stesso modo i conduttori del gruppo si costituiscono più come insegnanti o allenatori che come terapeuti.

ARTICOLAZIONE DEL PERCORSO

I Destinatari

Il training progettato e realizzato nell’UO di Psichiatria di quest’Asl si rivolge ai pazienti frequentanti il Centro Diurno di Malegno. Il Centro Diurno è una delle strutture semiresidenziali afferenti al Dipartimento di Salute Mentale, all’interno della quale vengono attuati programmi terapeutici-riabilitativi personalizzati ed attività di risocializzazione. Questa scelta è giustificata dal fatto che i pazienti frequentano il Centro per mesi o anni e possono pertanto partecipare al gruppo anche per tempi lunghi; inoltre essi la sera ritornano a casa, vivono in famiglia e nel territorio ed hanno quindi la possibilità di sperimentare le abilità apprese in contesti di vita reale. Il gruppo di training è composto da 7 partecipanti, sia maschi che femmine; tra di essi si riscontra una certa variabilità nella gravità dei deficit, oltre che nel tipo di abilità sociali compromesse.

I Conduttori

Il gruppo è condotto da tre operatori: uno psicologo dell’Unità Operativa di Psichiatria e due educatori professionali che già operano nel Centro Diurno.

Tempi e Fasi del Percorso

Fase 1: conoscenza dei pazienti del C.D. e valutazione iniziale delle abilità sociali possedute. Periodo: luglio-ottobre 2008

Il percorso di social skills training è stato preceduto da un periodo iniziale di conoscenza ed osservazione dei pazienti da parte dello psicologo che conduce il gruppo. Prima di iniziare il percorso di insegnamento delle Abilità di Base (e durante l’andamento dello stesso) è stata eseguita una valutazione allo scopo di:

a) determinare il possesso e/o la capacità di ogni soggetto di mettere in atto le abilità sociali;

b) identificare gli aspetti/passi critici su cui è più opportuno soffermarsi;

c) verificare periodicamente l‘andamento del training.

A tale scopo sono stati utilizzati diversi strumenti: colloqui individuali, osservazione e scale di valutazione del funzionamento personale e sociale dei pazienti.

Fase 2: attivazione del training. Periodo: novembre 2008 – febbraio 2009

Il percorso di apprendimento delle abilità sociali è articolato in incontri a cadenza settimanale della durata complessiva di circa un’ora. Nel percorso sulle Abilità di Base ogni abilità viene trattata nell’arco di 2-3 incontri consecutivi: nel corso dell’incontro si presenta l’abilità utilizzando esempi tratti dall’esperienza quotidiana dei pazienti, così da evidenziarne il senso. I conduttori sollecitano poi i partecipanti a esprimere il proprio parere sui vantaggi dell’impiego dell’abilità, quindi trascrivono su una lavagna tutti i passi operativi (tab. 1)(3) e discutono insieme al gruppo l’importanza dell’applicazione di ognuno di essi.

Tab. 1 – Le quattro abilità sociali di base:

Ascoltare gli altri

Passi dell’abilità

1. Mantenere il contatto visivo.

2. Annuire con la testa.

3. Dire: “Okay” oppure “Capisco…”.

4. Chiedere conferma ripetendo quello che l’altra persona ha detto.

Fare richieste

Passi dell’abilità

1. Guardare la persona.

2. Dire esattamente cosa vorresti che la persona facesse.

3. Dire all’altro come ti farebbe sentire.

Esprimere sentimenti positivi

Passi dell’abilità

1. Guardare la persona.

2. Dire esattamente alla persona cosa ti ha fatto piacere.

3. Dire all’altro cosa hai provato.

Esprimere sentimenti spiacevoli

Passi dell’abilità

1. Guardare la persona. Parlare con calma e fermezza.

2. Dire esattamente cosa ti ha turbato di quello che la persona ha fatto.

3. Dire all’altro cosa hai provato.

4. Suggerire all’altro un modo per evitare che l’accaduto si verifichi di nuovo.


Rifacendosi alla tecnica comportamentale del modeling, i conduttori mostrano quindi l’applicazione dei passi dell’abilità attraverso una simulazione strutturata (role play) relativa a situazioni di interazione molto semplici per poi verificare insieme al gruppo la corretta applicazione dei singoli passi. A questo punto si invitano i membri del gruppo a sostituirsi uno alla volta al conduttore per mettere in pratica nel role play i passi dell’abilità. Di seguito i conduttori forniscono un rimando positivo evidenziando solo i passi effettuati correttamente e sollecitando il gruppo a rilevarne la corretta esecuzione. Se necessario si fornisce anche un rimando correttivo invitando poi ‘l’attore’ a ripetere la simulata tenendo conto delle osservazioni ricevute. Ai partecipanti viene quindi assegnato il compito di esercitarsi nella messa in pratica dell’abilità anche nei giorni successivi, così da generalizzare il più possibile l’apprendimento alla vita quotidiana. L’incontro si conclude con l’offerta di una merenda a titolo di rinforzo alla partecipazione e di momento informale per verificare e commentare l’incontro.

VALUTAZIONE FINALE E RISULTATI

Periodicamente ogni ospite viene valutato con gli stessi strumenti utilizzati in fase iniziale. Una volta terminato il training delle abilità di base e la valutazione finale dei risultati, si potrà procedere all’attivazione del training delle specifiche abilità, sulla base delle esigenze emerse fra i partecipanti al gruppo.

A che punto siamo: le impressioni degli operatori

Riteniamo di poter affermare che la partecipazione degli ospiti del CD agli incontri di social skills è stata sempre continuativa e con un crescendo di interesse riguardo agli argomenti affrontati. Dato che si trattava della prima esperienza di questo tipo, il gruppo inizialmente è apparso cauto nel mettersi in gioco e un po’ in imbarazzo nell’esporsi nelle simulate di fronte agli altri. Ad una prima fase di curiosità, ma anche di titubanza rispetto alla nuova proposta, è seguito tuttavia un reale interessamento alle abilità sociali trattate e alle opportunità offerte, con una maggiore comprensione della spendibilità delle abilità anche fuori dal contesto del CD e nella vita quotidiana. Anche i familiari di alcuni utenti hanno riconosciuto un cambiamento nelle modalità di comunicazione del paziente. Si sottolinea come noi operatori si sia partiti prevedendo maggiori difficoltà, sia nel coinvolgere i partecipanti, sia nel motivarli. In realtà, siamo stati piacevolmente sorpresi nel constatare come la maggior parte di loro si sia lasciata coinvolgere con entusiasmo nelle diverse attività, portando un contributo inaspettato e propositivo al resto del gruppo.

Il parere dei partecipanti al gruppo

Abbiamo chiesto alle persone che partecipano al training di scrivere il loro parere su quanto stanno vivendo nel gruppo di addestramento alle abilità sociali; ecco cosa ci hanno risposto:

“Questi incontri di abilità sociale sono molto utili perché ci danno la possibilità di rapportarci con gli altri in modo adeguato, seguendo le buone regole del vivere civile. All’inizio eravamo un po’ imbarazzati in questi incontri, ma pian piano abbiamo seguito le lezioni con più naturalezza. Il corso è tuttora in svolgimento e siamo contenti perché avremo modo di imparare altre abilità sociali via via più complesse!”

(1) A. Bellack, T. Mueser, S. Gingerich, J.Agresta (2003): “Social Skills Training per il trattamento della schizofrenia – guida pratica” a cura di G. Nicolò, Centro Scientifico Editore, pag.3

(2) idem pag.5

(3) Tabella tratta da A. Bellack, T. Mueser, S. Gingerich, J.Agresta (2003): “Social Skills Training per il trattamento della schizofrenia – guida pratica” a cura di G. Nicolò, Centro Scientifico Editore, pag.103.

– Il Direttore dell’UOP: Dr. Vincenzo Zindato

– Il Referente del Centro Diurno (CD): Dr.ssa Laura Crippa, Medico Psichiatra

– I conduttori del gruppo: Dr.ssa Chiara Moreschi, Psicologo – UOP; Sig.ra Alessandra Garattini, Educ. Prof.le CD; Sig.ra Cristina Menici, Educatore professionale – CD

– Gli utenti del Centro Diurno

Articolo tratto dal periodico SANITA’ CAMUNA dell’A.S.L. di Vallecamonica n. 01/2009
Pagine 25,26,27 – autore Vincenzo Zindato

Questo il sito al quale poter consultare tutti i numeri del periodico: www.aslvallecamonicasebino.it

NOMINATI DUE NUOVI PRIMARI

Ecco gli ultimi due – in ordine di tempo – Primari che il Direttore Generale, Dr. Foschini, ha nominato nel corso del 2008. Entrambi ricoprivano già da tempo ruoli di responsabilità presso la nostra Azienda:

Anna Bonettini.jpgLa Dr.ssa Anna Bonettini ha avuto l’incarico di Direttore della struttura complessa di “UO Laboratorio analisi” (patologia clinica). La Dr.ssa Bonettini nata ad Esine il 9.6.1953, si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Padova nel 1979, conseguendo il Diploma di specializzazione in Biochimica e Chimica Clinica – indirizzo diagnostico – presso l’università degli studi di Milano nel 1988, in entrambi i casi con pieni voti e lode. Ha svolto la propria attività, ininterrottamente, presso questa Azienda, a partire dal giugno 1980. Al momento della nomina ricopriva già la posizione di Responsabile facente funzioni della struttura complessa Laboratorio di Patologia Clinica.Vincenzo Zindato.jpg

Al Dr. Vincenzo Zindato è stato affidato l’incarico di Direttore della Struttura complessa di Psichiatria del presidio ospedaliero. Il Dr. Zindato, nato a Como il 5.8.1961, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Pavia nel 1990 e presso la medesima Università nel 1994 ha conseguito il Diploma di specializzazione, in entrambi i casi con pieni voti e lode. Ha svolto la propria attività, presso questa Azienda, ininterrottamente, a partire dall’agosto 1988 sia presso l’ospedale che presso il CPS di Malegno. Al momento della nomina ricopriva già la posizione di Responsabile facente funzioni della struttura complessa di Psichiatria.

Matilde Comensoli

Articolo tratto dal periodico SANITA’ CAMUNA dell’A.S.L. di Vallecamonica n. 01/2009. Pagine 5, – autore Matilde Comensoli

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DIPARTIMENTO SALUTE MENTALE (D.S.M. – A.S.L)

Il  Dipartimento di Salute Mentale dell’A.S.L. di Vallecamonica ha sede a Malegno, in via Lanico – tel. 0364.347504 – 0364.347501 ed è composto dall’Unità operativa di psichiatria e dalla Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza.

Il D.S.M. dispone dei seguenti servizi:

– Ambulatori del Centro Psico-sociale di Darfo Boario Terme, Edolo e Malegno;
– Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) – reparto ospedaliero a Esine (10 posti letto);
– Day hospital presso il reparto ospedaliero di Esine (3 posti letto)
– Comunità Riabilitativa ad Alta Assistenza (CRA) a Malegno (9 posti letto)
– Centro diurno a Malegno (10 posti)
– Servizio di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza – Servizi di Esine e Cedegolo

Dall’ottobre 2008 è guidato dal Responsabile dott. Vincenzo Zindato.

INTERVENTO PSICOEDUCATIVO RIVOLTO AI FAMILIARI DI PAZIENTI PSICHIATRICI AFFETTI DA PSICOSI:

DA ANNI L’UOP DELLA NOSTRA ASL SPERIMENTA PERCORSI INFORMATIVI E FORMATIVI DI GRUPPO

L’attività psichiatrica attuale, in particolar modo quella rivolta alle condizioni più gravi (psicosi), si avvale soprattutto dei presidi della psicofarmacologia e di interventi selettivi di psicoterapia. Tuttavia, entrambi gli interventi hanno dimostrato i propri limiti sia nel controllo della sintomatologia, sia nella restituzione completa di un equilibrio interiore, sia nella ricostruzione funzionale di abilità perdute sul piano sociale. Queste considerazioni hanno spinto i ricercatori a strutturare modelli di intervento più complessi ed integrati che oggi, con lo scopo di riportare il funzionamento dell’individuo a livelli compatibili con una discreta qualità di vita, vengono definiti sotto il nome generico di riabilitazione. Uno tra i modelli più strutturati per la gestione delle psicosi è l’intervento psicoeducazionale integrato di Ian Falloon. Fulcro centrale di questo modello è il coinvolgimento attivo dei familiari nel progetto riabilitativo e l’apprendimento di abilità interpersonali. Si tratta di un intervento standardizzato strutturato in tre parti: una prima parte diagnostica, una seconda parte informativa ed una terza parte formativa con training sulle abilità di comunicazione e di soluzione dei problemi.

Il concetto di psicosi

Il termine “psicosi” è in uso nella letteratura psichiatrica a partire dal XIX secolo per indicare le malattie mentali in generale. Attualmente, nella psichiatria clinica il concetto di psicosi è estremamente ampio e comprende tutta una gamma di malattie mentali sia manifestamente organiche sia con eziologia ancora discussa e non sufficientemente chiarita. Nella pratica tradizionale, il termine psicotico indica la compromissione del giudizio di realtà e un’alterazione del funzionamento mentale, che si manifesta con deliri, allucinazioni, confusione e disturbi della memoria. Negli ultimi 50 anni, nell’accezione psichiatrica più comune il termine psicotico è diventato sinonimo di una grave compromissione del funzionamento personale e sociale, caratterizzato da ritiro sociale e incapacità di svolgere gli abituali ruoli familiari e lavorativi. Una prova diretta del comportamento psicotico è la destrutturazione della personalità ed una disgregazione psichica che comporta una compromissione del rapporto con la realtà, con presenza di alterazioni del contenuto del pensiero (deliri), alterazioni della senso-percezione (allucinazioni), in assenza della consapevolezza della loro natura patologica, perdita dell’affettività, presenza di stati maniacali e/o di episodi depressivi.

La schizofrenia ed il modello vulnerabilità-stress

La forma psicotica più frequente dopo le psicosi legate all’età è la schizofrenia. Viene considerata la più devastante tra le malattie mentali a causa della precocità d’esordio, della gravità sintomatologica e della frequente cronicizzazione. Questi fattori possono determinare un rapido deterioramento delle capacità del soggetto in numerose aree funzionali (lavorativa, relazionale, affettiva) con conseguente isolamento sociale. Secondo i dati riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’incidenza della schizofrenia oscilla tra 16 e 42 casi per 100.000 abitanti (in età compresa tra 18 e 54 anni). Per quanto riguarda il decorso del disturbo, i dati dell’OMS evidenziano come circa ⅓ delle persone che si ammalano di schizofrenia guarisca, tornando a svolgere la vita precedente la crisi senza ulteriori ricadute, anche se nel modo di vivere qualcosa rimane particolare; ⅓ dei pazienti avrà altre 6-7 ricadute della durata media di tre mesi (tra questi episodi psicotici il paziente è sano, anche se permangono degli stati residuali, come cambiamenti di personalità, disturbi del pensiero, impoverimento emozionale). Il paziente deve continuare a prendere farmaci ed ha una riduzione del rendimento sul lavoro e nella qualità della vita sociale. Il rimanente ⅓ sviluppa una schizofrenia cronica con onde psicotiche che si succedono una dopo l’altra. è interessante notare come queste successive onde psicotiche vengano spesso causate da fattori esterni (come conflitti familiari). Allo stato attuale non si conoscono con certezza i fattori che influenzano l’insorgere dei disturbi psichiatrici. Sebbene si sappia che vi è un certo grado di familiarità e di predisposizione congenita, in molti disturbi psichiatrici gravi sono ancora da chiarire le modalità di trasmissione genetica ed i meccanismi d’azione. “La teoria stress-vulnerabilità è un modello esplicativo della patogenesi dei disturbi mentali, secondo il quale in alcune persone l’effetto combinato della vulnerabilità genetica e di fattori stressanti supera la soglia individuale di adattamento bio-psico-sociale e favorisce la comparsa dei sintomi del disturbo mentale a cui la persona è vulnerabile” (Falloon, 1992, pag.13). Da questo punto di vista, le disfunzioni organiche e biochimiche “non sono sufficienti perché la malattia mentale si manifesti, ma è necessaria l’interazione di tali disfunzioni con fattori concomitanti di natura psicologica e ambientale” (ibidem, pag 14). Un fattore ambientale importante è rappresentato dallo stress, soprattutto quello quotidiano legato alle normali attività familiari, sociali e lavorative. I fattori di stress quotidiano sono molto difficili da misurare; tuttavia lo stress familiare è stato valutato con indici quali l’Emotività familiare Espressa E.E. – ed il “carico familiare”. Il trattamento della schizofrenia dimostratosi più efficace deve pertanto integrare un adeguato trattamento farmacologico del paziente, la psicoeducazione di tutti i membri del gruppo familiare sulla natura del disturbo, l’insegnamento delle abilità di comunicazione e di risoluzione dei problemi, l’identificazione dei segni precoci di crisi con la pianificazione di strategie d’intervento per affrontare le crisi. Inoltre deve essere valutato un adeguato inserimento sociale delle persone affette dal disturbo, sia sul piano abitativo e delle relazioni interpersonali, che sul piano del lavoro.

Emotività Espressa e Carico familiare

L’Emotività Espressa è stata definita come l’indice della temperatura emotiva nell’ambiente familiare, un indicatore dell’intensità della risposta emotiva del familiare in un dato momento temporale; essenzialmente un rivelatore della mancanza di affetto del familiare o del suo interessamento eccessivamente invadente nei confronti del paziente. In uno studio del 1985 Leff, Vaughn classificarono i familiari dei pazienti come ad alta o a bassa Emotività Espressa tenendo in considerazione quattro caratteristiche:

1. Rispetto verso le necessità relazionali del paziente: i familiari ad alta E.E. sono tendenzialmente intrusivi, cercano il contatto con il paziente indipendentemente dalle sue richieste, mentre quelli a bassa E.E. sono più in grado di adattarsi alle richieste ed ai bisogni espressi direttamente o indirettamente dal paziente.

2. Legittimazione della malattia: i familiari ad alta E.E. considerano il paziente responsabile di tutte o quasi tutte le sue azioni, anche quelle che chiaramente costituiscono sintomi, mentre quelli a bassa E.E. cercano di costruirsi una spiegazione razionale delle azioni del paziente, e riconoscono quelle dettate dalla sua malattia.

3. Aspettative per il paziente: i familiari ad alta E.E. nutrono in genere aspettative molto elevate per il paziente, indipendentemente dai deficit di quest’ultimo, mentre quelli a bassa E.E. nutrono aspettative realistiche, e tollerano meglio livelli di funzionamento sociale anche molto bassi.

4. Risposte emotive: i familiari ad alta E.E. spesso drammatizzano le proprie reazioni ai sintomi, e tendono ad avere modalità di risposta rigide ai momenti di crisi, mentre quelli a bassa E.E. sono in grado di controllare l’emotività e di adottare risposte flessibili.

Se la famiglia è caratterizzata da un’alta Emotività Espressa, il paziente avrà maggiori facilità di recidiva, cioè ricadrà più facilmente nella sintomatologia tipica della schizofrenia e avrà più possibilità di essere ricoverato in ospedale. Al contrario, una famiglia con un basso livello di Emotività Espressa sarà maggiormente in grado di comprendere i bisogni del paziente e di far fronte ai momenti di crisi.

Per quanto riguarda il concetto di “Carico Familiare” si fa riferimento alle conseguenze familiari pratiche e psicologiche legate alla convivenza e all’assistenza di un congiunto affetto da malattia mentale, sia nella loro dimensione oggettiva che soggettiva. La prima comprende tutti quei problemi pratici legati alla compromissione delle relazioni intrafamiliari, alla restrizione delle attività sociali e ricreative, alle difficoltà economiche; la seconda invece, descrive le reazioni psicologiche dei familiari quali il senso di perdita, di colpa, depressione, ansia, disagio in luoghi pubblici. I familiari riportano alti livelli di carico quando riferiscono riduzione dei loro interessi sociali, senso di perdita ed effetti negativi sull’andamento della famiglia e inoltre quando ricevono uno scarso sostegno pratico e psicologico dalla rete sociale in cui sono inseriti.

L’intervento psicoeducativo e la sua applicazione in psichiatria

Negli ultimi anni si è sviluppato un indirizzo terapeutico psicosociale denominato “psicoeducativo”. Esso ha le caratteristiche di occuparsi della situazione complessiva del paziente psichiatrico, delle sue relazioni con l’ambiente di riferimento ed in particolare, con quello familiare. Sebbene più della metà degli adulti con persistenti disturbi psichiatrici vivano con i loro familiari, soltanto il 10% delle famiglie con pazienti schizofrenici riceve, da parte dei Professionisti della Salute Mentale, supporto ed “educazione”. Questo succede nonostante il dato eclatante che la partecipazione familiare riduca notevolmente le ricadute, l’indice dell’emotività espressa ed il carico familiare. L’intervento psicoeducativo nasce dalla constatazione di come di fatto i familiari siano i più diretti interessati nella cura del paziente essendo coloro che spendono la maggior parte del tempo in sua compagnia. Purtroppo, troppo spesso, sono logorati dalle richieste e dalle esigenze del loro congiunto e tendono a mettere in atto modalità espulsive nei suoi confronti; se opportunamente stimolati ed educati, possono invece imparare a ridurre lo stress presente all’interno della loro famiglia e diventare inoltre una preziosa fonte di informazioni, grazie alla loro esperienza, sulle tecniche più utili da adottare per fronteggiare i problemi di quel particolare paziente. Il modello più standardizzato e facile da applicare è quello di Ian Falloon, psichiatra neo-zelandese.

Le caratteristiche salienti dell’approccio integrato di Fallon sono:

• Fornire informazioni dettagliate ed accurate alle famiglie sul disturbo e sulle principali modalità di gestione.

• Insegnare modalità efficaci di comunicazione.

• Individuare segni precoci di crisi e piano di intervento per poterne bloccare tempestivamente lo sviluppo.

• Aumentare nella famiglia la capacità di fare fronte allo stress.

• Promuovere interventi di solidarietà reciproca tra i familiari.

• Coinvolgere associazioni dei familiari e sostegno da parte dei Servizi di Salute Mentale.

L’intervento psicoeducativo nell’ Unità Operativa di Psichiatria (UOP) dell’ASL di Vallecamonica-Sebino

In linea con i modelli più recenti di trattamento dei disturbi mentali gravi (psicosi), già da qualche anno nella nostra UOP è stata attivata una sperimentazione finalizzata a coinvolgere i familiari nei trattamenti riabilitativi dei pazienti. Si tratta di percorsi informativi di gruppo, rivolti ai familiari dei pazienti gravi già in carico alla UOP. Con il termine “familiari” si fa riferimento non solo a parenti, ma anche a partners, fidanzati, amici, vicini, ecc. cioè a tutte le persone che si occupano del paziente. Lo scopo di questi incontri è quello di correggere gli atteggiamenti negativi dei familiari nei riguardi del paziente, far capire loro che il comportamento deviato è un riflesso della malattia mentale e che non si tratta di un comportamento dispettoso o cattivo. Il fine è riuscire a trasmettere alle famiglie una modalità relazionale nei confronti del paziente che sia più efficace nel fronteggiare le situazioni di crisi.

I primi percorsi di gruppo hanno preso avvio nel 1996 e sono poi continuati fino al 1999; in seguito, per alcuni problemi organizzativi, si è resa necessaria un’interruzione di tale attività che è ripresa poi nel 2004 e continua tutt’ora. In questi 7 anni sono stati realizzati 14 percorsi di “base”, così definiti perché si pongono l’obiettivo di:

• migliorare la conoscenza di tutti i familiari del disturbo di cui soffre il paziente e del suo trattamento farmacologico;

• indicare cosa fare di fronte a sintomi allarmanti e a comportamenti disturbanti;

• dare informazioni dettagliate su cosa fare e chi contattare in caso di crisi;

• fornire ai familiari una conoscenza puntuale dei servizi offerti dalla UOP dal punto di vista medico, psicologico, sociale e riabilitativo;

• far conoscere ai familiari le associazioni per la Salute Mentale ed i gruppi di auto-mutuo aiuto operanti sul territorio della Valle.

Ad oggi, nei diversi gruppi sono stati coinvolti circa 280 familiari residenti su tutto il territorio della Vallecamonica.

I corsi, che si sono svolti a Cividate, presso la sede della Biblioteca e del Centro Anziani, e a Breno, presso la sede della Cooperativa Sociale “Arcobaleno”, sono stati condotti dagli operatori dell’UOP (Psichiatri, Psicologi, Assistente Sociale, Educatori Professionali e Infermieri) e, nell’ultimo anno hanno visto la partecipazione attiva, in qualità di “esperti”, di alcuni membri dell’Associazione Alleanza per la Salute Mentale di Vallecamonica-Onlus.

Dall’analisi dei questionari di valutazione e di gradimento somministrati al termine di ogni percorso di gruppo, è emersa una generale soddisfazione per gli incontri realizzati, ma anche la necessità per i familiari di continuare ad incontrarsi ed ad arricchire il proprio bagaglio di competenza e conoscenza dei disturbi mentali e delle modalità relazionali più efficaci da utilizzare con i pazienti. Per cercare di dare una risposta a tali bisogni, gli operatori dell’UOP hanno progettato per l’autunno 2008 altri percorsi di gruppo a carattere formativo, rivolti ai familiari che hanno già preso parte ai “gruppi base”. Scopo di questi incontri, che coinvolgeranno circa 10/12 persone per volta, è quello di insegnare le abilità di comunicazione interpersonali al fine di rendere i membri della famiglia capaci di avere discussioni costruttive per la soluzione di problemi individuali o collettivi e migliorare le abilità dei partecipanti di gestire i periodi di stress. In particolare verranno approfondite, attraverso esercitazioni pratiche, quelle abilità di comunicazione che sono carenti nelle famiglie sotto stress, ma che possono contribuire ad un sostanziale miglioramento dell’efficacia nella soluzione di problemi e nel raggiungimento di obiettivi personali e familiari. Esse sono: esprimere sentimenti piacevoli; fare richieste in modo positivo; esprimere sentimenti spiacevoli; ascolto attivo. Si tratta quindi di un Addestramento alle Abilità Sociali (A.A.S.), in Inglese Social Skills Training che si è dimostrato efficace anche nel modificare le condotte aggressive e nel migliorare le sindromi depressive. Tali percorsi formativi saranno condotti dagli operatori dell’UOP (Psicologi e Educatori Professionali) ed avranno sede presso la Coop. Sociale “Arcobaleno” di Breno.

Il Responsabile del CPS di Malegno Dr. Vincenzo Zindato
Le Psicologhe dell’UOP Dr.sse: Giacinta Pini,
Chiara Moreschi, Elena Massari

Articolo tratto dal periodico SANITA’ CAMUNA dell’A.S.L. di Vallecamonica n. 03/2008. Pagine 28,29,30 – autore Dr. Vincenzo Zindato, Dr.sse Giacinta Pini, Chiara Moreschi, Elena Massari

Questo il sito al quale poter consultare tutti i numeri del periodico: www.aslvallecamonicasebino.it