INTERVENTO PSICOEDUCATIVO RIVOLTO AI FAMILIARI DI PAZIENTI PSICHIATRICI AFFETTI DA PSICOSI:

DA ANNI L’UOP DELLA NOSTRA ASL SPERIMENTA PERCORSI INFORMATIVI E FORMATIVI DI GRUPPO

L’attività psichiatrica attuale, in particolar modo quella rivolta alle condizioni più gravi (psicosi), si avvale soprattutto dei presidi della psicofarmacologia e di interventi selettivi di psicoterapia. Tuttavia, entrambi gli interventi hanno dimostrato i propri limiti sia nel controllo della sintomatologia, sia nella restituzione completa di un equilibrio interiore, sia nella ricostruzione funzionale di abilità perdute sul piano sociale. Queste considerazioni hanno spinto i ricercatori a strutturare modelli di intervento più complessi ed integrati che oggi, con lo scopo di riportare il funzionamento dell’individuo a livelli compatibili con una discreta qualità di vita, vengono definiti sotto il nome generico di riabilitazione. Uno tra i modelli più strutturati per la gestione delle psicosi è l’intervento psicoeducazionale integrato di Ian Falloon. Fulcro centrale di questo modello è il coinvolgimento attivo dei familiari nel progetto riabilitativo e l’apprendimento di abilità interpersonali. Si tratta di un intervento standardizzato strutturato in tre parti: una prima parte diagnostica, una seconda parte informativa ed una terza parte formativa con training sulle abilità di comunicazione e di soluzione dei problemi.

Il concetto di psicosi

Il termine “psicosi” è in uso nella letteratura psichiatrica a partire dal XIX secolo per indicare le malattie mentali in generale. Attualmente, nella psichiatria clinica il concetto di psicosi è estremamente ampio e comprende tutta una gamma di malattie mentali sia manifestamente organiche sia con eziologia ancora discussa e non sufficientemente chiarita. Nella pratica tradizionale, il termine psicotico indica la compromissione del giudizio di realtà e un’alterazione del funzionamento mentale, che si manifesta con deliri, allucinazioni, confusione e disturbi della memoria. Negli ultimi 50 anni, nell’accezione psichiatrica più comune il termine psicotico è diventato sinonimo di una grave compromissione del funzionamento personale e sociale, caratterizzato da ritiro sociale e incapacità di svolgere gli abituali ruoli familiari e lavorativi. Una prova diretta del comportamento psicotico è la destrutturazione della personalità ed una disgregazione psichica che comporta una compromissione del rapporto con la realtà, con presenza di alterazioni del contenuto del pensiero (deliri), alterazioni della senso-percezione (allucinazioni), in assenza della consapevolezza della loro natura patologica, perdita dell’affettività, presenza di stati maniacali e/o di episodi depressivi.

La schizofrenia ed il modello vulnerabilità-stress

La forma psicotica più frequente dopo le psicosi legate all’età è la schizofrenia. Viene considerata la più devastante tra le malattie mentali a causa della precocità d’esordio, della gravità sintomatologica e della frequente cronicizzazione. Questi fattori possono determinare un rapido deterioramento delle capacità del soggetto in numerose aree funzionali (lavorativa, relazionale, affettiva) con conseguente isolamento sociale. Secondo i dati riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’incidenza della schizofrenia oscilla tra 16 e 42 casi per 100.000 abitanti (in età compresa tra 18 e 54 anni). Per quanto riguarda il decorso del disturbo, i dati dell’OMS evidenziano come circa ⅓ delle persone che si ammalano di schizofrenia guarisca, tornando a svolgere la vita precedente la crisi senza ulteriori ricadute, anche se nel modo di vivere qualcosa rimane particolare; ⅓ dei pazienti avrà altre 6-7 ricadute della durata media di tre mesi (tra questi episodi psicotici il paziente è sano, anche se permangono degli stati residuali, come cambiamenti di personalità, disturbi del pensiero, impoverimento emozionale). Il paziente deve continuare a prendere farmaci ed ha una riduzione del rendimento sul lavoro e nella qualità della vita sociale. Il rimanente ⅓ sviluppa una schizofrenia cronica con onde psicotiche che si succedono una dopo l’altra. è interessante notare come queste successive onde psicotiche vengano spesso causate da fattori esterni (come conflitti familiari). Allo stato attuale non si conoscono con certezza i fattori che influenzano l’insorgere dei disturbi psichiatrici. Sebbene si sappia che vi è un certo grado di familiarità e di predisposizione congenita, in molti disturbi psichiatrici gravi sono ancora da chiarire le modalità di trasmissione genetica ed i meccanismi d’azione. “La teoria stress-vulnerabilità è un modello esplicativo della patogenesi dei disturbi mentali, secondo il quale in alcune persone l’effetto combinato della vulnerabilità genetica e di fattori stressanti supera la soglia individuale di adattamento bio-psico-sociale e favorisce la comparsa dei sintomi del disturbo mentale a cui la persona è vulnerabile” (Falloon, 1992, pag.13). Da questo punto di vista, le disfunzioni organiche e biochimiche “non sono sufficienti perché la malattia mentale si manifesti, ma è necessaria l’interazione di tali disfunzioni con fattori concomitanti di natura psicologica e ambientale” (ibidem, pag 14). Un fattore ambientale importante è rappresentato dallo stress, soprattutto quello quotidiano legato alle normali attività familiari, sociali e lavorative. I fattori di stress quotidiano sono molto difficili da misurare; tuttavia lo stress familiare è stato valutato con indici quali l’Emotività familiare Espressa E.E. – ed il “carico familiare”. Il trattamento della schizofrenia dimostratosi più efficace deve pertanto integrare un adeguato trattamento farmacologico del paziente, la psicoeducazione di tutti i membri del gruppo familiare sulla natura del disturbo, l’insegnamento delle abilità di comunicazione e di risoluzione dei problemi, l’identificazione dei segni precoci di crisi con la pianificazione di strategie d’intervento per affrontare le crisi. Inoltre deve essere valutato un adeguato inserimento sociale delle persone affette dal disturbo, sia sul piano abitativo e delle relazioni interpersonali, che sul piano del lavoro.

Emotività Espressa e Carico familiare

L’Emotività Espressa è stata definita come l’indice della temperatura emotiva nell’ambiente familiare, un indicatore dell’intensità della risposta emotiva del familiare in un dato momento temporale; essenzialmente un rivelatore della mancanza di affetto del familiare o del suo interessamento eccessivamente invadente nei confronti del paziente. In uno studio del 1985 Leff, Vaughn classificarono i familiari dei pazienti come ad alta o a bassa Emotività Espressa tenendo in considerazione quattro caratteristiche:

1. Rispetto verso le necessità relazionali del paziente: i familiari ad alta E.E. sono tendenzialmente intrusivi, cercano il contatto con il paziente indipendentemente dalle sue richieste, mentre quelli a bassa E.E. sono più in grado di adattarsi alle richieste ed ai bisogni espressi direttamente o indirettamente dal paziente.

2. Legittimazione della malattia: i familiari ad alta E.E. considerano il paziente responsabile di tutte o quasi tutte le sue azioni, anche quelle che chiaramente costituiscono sintomi, mentre quelli a bassa E.E. cercano di costruirsi una spiegazione razionale delle azioni del paziente, e riconoscono quelle dettate dalla sua malattia.

3. Aspettative per il paziente: i familiari ad alta E.E. nutrono in genere aspettative molto elevate per il paziente, indipendentemente dai deficit di quest’ultimo, mentre quelli a bassa E.E. nutrono aspettative realistiche, e tollerano meglio livelli di funzionamento sociale anche molto bassi.

4. Risposte emotive: i familiari ad alta E.E. spesso drammatizzano le proprie reazioni ai sintomi, e tendono ad avere modalità di risposta rigide ai momenti di crisi, mentre quelli a bassa E.E. sono in grado di controllare l’emotività e di adottare risposte flessibili.

Se la famiglia è caratterizzata da un’alta Emotività Espressa, il paziente avrà maggiori facilità di recidiva, cioè ricadrà più facilmente nella sintomatologia tipica della schizofrenia e avrà più possibilità di essere ricoverato in ospedale. Al contrario, una famiglia con un basso livello di Emotività Espressa sarà maggiormente in grado di comprendere i bisogni del paziente e di far fronte ai momenti di crisi.

Per quanto riguarda il concetto di “Carico Familiare” si fa riferimento alle conseguenze familiari pratiche e psicologiche legate alla convivenza e all’assistenza di un congiunto affetto da malattia mentale, sia nella loro dimensione oggettiva che soggettiva. La prima comprende tutti quei problemi pratici legati alla compromissione delle relazioni intrafamiliari, alla restrizione delle attività sociali e ricreative, alle difficoltà economiche; la seconda invece, descrive le reazioni psicologiche dei familiari quali il senso di perdita, di colpa, depressione, ansia, disagio in luoghi pubblici. I familiari riportano alti livelli di carico quando riferiscono riduzione dei loro interessi sociali, senso di perdita ed effetti negativi sull’andamento della famiglia e inoltre quando ricevono uno scarso sostegno pratico e psicologico dalla rete sociale in cui sono inseriti.

L’intervento psicoeducativo e la sua applicazione in psichiatria

Negli ultimi anni si è sviluppato un indirizzo terapeutico psicosociale denominato “psicoeducativo”. Esso ha le caratteristiche di occuparsi della situazione complessiva del paziente psichiatrico, delle sue relazioni con l’ambiente di riferimento ed in particolare, con quello familiare. Sebbene più della metà degli adulti con persistenti disturbi psichiatrici vivano con i loro familiari, soltanto il 10% delle famiglie con pazienti schizofrenici riceve, da parte dei Professionisti della Salute Mentale, supporto ed “educazione”. Questo succede nonostante il dato eclatante che la partecipazione familiare riduca notevolmente le ricadute, l’indice dell’emotività espressa ed il carico familiare. L’intervento psicoeducativo nasce dalla constatazione di come di fatto i familiari siano i più diretti interessati nella cura del paziente essendo coloro che spendono la maggior parte del tempo in sua compagnia. Purtroppo, troppo spesso, sono logorati dalle richieste e dalle esigenze del loro congiunto e tendono a mettere in atto modalità espulsive nei suoi confronti; se opportunamente stimolati ed educati, possono invece imparare a ridurre lo stress presente all’interno della loro famiglia e diventare inoltre una preziosa fonte di informazioni, grazie alla loro esperienza, sulle tecniche più utili da adottare per fronteggiare i problemi di quel particolare paziente. Il modello più standardizzato e facile da applicare è quello di Ian Falloon, psichiatra neo-zelandese.

Le caratteristiche salienti dell’approccio integrato di Fallon sono:

• Fornire informazioni dettagliate ed accurate alle famiglie sul disturbo e sulle principali modalità di gestione.

• Insegnare modalità efficaci di comunicazione.

• Individuare segni precoci di crisi e piano di intervento per poterne bloccare tempestivamente lo sviluppo.

• Aumentare nella famiglia la capacità di fare fronte allo stress.

• Promuovere interventi di solidarietà reciproca tra i familiari.

• Coinvolgere associazioni dei familiari e sostegno da parte dei Servizi di Salute Mentale.

L’intervento psicoeducativo nell’ Unità Operativa di Psichiatria (UOP) dell’ASL di Vallecamonica-Sebino

In linea con i modelli più recenti di trattamento dei disturbi mentali gravi (psicosi), già da qualche anno nella nostra UOP è stata attivata una sperimentazione finalizzata a coinvolgere i familiari nei trattamenti riabilitativi dei pazienti. Si tratta di percorsi informativi di gruppo, rivolti ai familiari dei pazienti gravi già in carico alla UOP. Con il termine “familiari” si fa riferimento non solo a parenti, ma anche a partners, fidanzati, amici, vicini, ecc. cioè a tutte le persone che si occupano del paziente. Lo scopo di questi incontri è quello di correggere gli atteggiamenti negativi dei familiari nei riguardi del paziente, far capire loro che il comportamento deviato è un riflesso della malattia mentale e che non si tratta di un comportamento dispettoso o cattivo. Il fine è riuscire a trasmettere alle famiglie una modalità relazionale nei confronti del paziente che sia più efficace nel fronteggiare le situazioni di crisi.

I primi percorsi di gruppo hanno preso avvio nel 1996 e sono poi continuati fino al 1999; in seguito, per alcuni problemi organizzativi, si è resa necessaria un’interruzione di tale attività che è ripresa poi nel 2004 e continua tutt’ora. In questi 7 anni sono stati realizzati 14 percorsi di “base”, così definiti perché si pongono l’obiettivo di:

• migliorare la conoscenza di tutti i familiari del disturbo di cui soffre il paziente e del suo trattamento farmacologico;

• indicare cosa fare di fronte a sintomi allarmanti e a comportamenti disturbanti;

• dare informazioni dettagliate su cosa fare e chi contattare in caso di crisi;

• fornire ai familiari una conoscenza puntuale dei servizi offerti dalla UOP dal punto di vista medico, psicologico, sociale e riabilitativo;

• far conoscere ai familiari le associazioni per la Salute Mentale ed i gruppi di auto-mutuo aiuto operanti sul territorio della Valle.

Ad oggi, nei diversi gruppi sono stati coinvolti circa 280 familiari residenti su tutto il territorio della Vallecamonica.

I corsi, che si sono svolti a Cividate, presso la sede della Biblioteca e del Centro Anziani, e a Breno, presso la sede della Cooperativa Sociale “Arcobaleno”, sono stati condotti dagli operatori dell’UOP (Psichiatri, Psicologi, Assistente Sociale, Educatori Professionali e Infermieri) e, nell’ultimo anno hanno visto la partecipazione attiva, in qualità di “esperti”, di alcuni membri dell’Associazione Alleanza per la Salute Mentale di Vallecamonica-Onlus.

Dall’analisi dei questionari di valutazione e di gradimento somministrati al termine di ogni percorso di gruppo, è emersa una generale soddisfazione per gli incontri realizzati, ma anche la necessità per i familiari di continuare ad incontrarsi ed ad arricchire il proprio bagaglio di competenza e conoscenza dei disturbi mentali e delle modalità relazionali più efficaci da utilizzare con i pazienti. Per cercare di dare una risposta a tali bisogni, gli operatori dell’UOP hanno progettato per l’autunno 2008 altri percorsi di gruppo a carattere formativo, rivolti ai familiari che hanno già preso parte ai “gruppi base”. Scopo di questi incontri, che coinvolgeranno circa 10/12 persone per volta, è quello di insegnare le abilità di comunicazione interpersonali al fine di rendere i membri della famiglia capaci di avere discussioni costruttive per la soluzione di problemi individuali o collettivi e migliorare le abilità dei partecipanti di gestire i periodi di stress. In particolare verranno approfondite, attraverso esercitazioni pratiche, quelle abilità di comunicazione che sono carenti nelle famiglie sotto stress, ma che possono contribuire ad un sostanziale miglioramento dell’efficacia nella soluzione di problemi e nel raggiungimento di obiettivi personali e familiari. Esse sono: esprimere sentimenti piacevoli; fare richieste in modo positivo; esprimere sentimenti spiacevoli; ascolto attivo. Si tratta quindi di un Addestramento alle Abilità Sociali (A.A.S.), in Inglese Social Skills Training che si è dimostrato efficace anche nel modificare le condotte aggressive e nel migliorare le sindromi depressive. Tali percorsi formativi saranno condotti dagli operatori dell’UOP (Psicologi e Educatori Professionali) ed avranno sede presso la Coop. Sociale “Arcobaleno” di Breno.

Il Responsabile del CPS di Malegno Dr. Vincenzo Zindato
Le Psicologhe dell’UOP Dr.sse: Giacinta Pini,
Chiara Moreschi, Elena Massari

Articolo tratto dal periodico SANITA’ CAMUNA dell’A.S.L. di Vallecamonica n. 03/2008. Pagine 28,29,30 – autore Dr. Vincenzo Zindato, Dr.sse Giacinta Pini, Chiara Moreschi, Elena Massari

Questo il sito al quale poter consultare tutti i numeri del periodico: www.aslvallecamonicasebino.it